“Armi e Bagagli”: le ultime parole di Cesare Battisti
di Stefano Adami
E così, alla fine, Cesare Battisti ha spiazzato tutti. Tutti i firmatari degli appelli pro-Battisti. E quelli che sono rimasti totalmente spiazzati, visto che non se l’aspettavano, stanno facendo bel belli finta di niente. Ma come ha fatto a spiazzare tutti, Battisti? Semplicemente dichiarando, alla fine, di essere colpevole. Eh sì. Quelle quattro persone, cadute negli anni ’70, le ha ammazzate proprio lui. Non è un complotto. Non è una trappola. Non è un’invenzione del potere. Fu lui a sparare. E, al termine della confessione, Battisti ha anche cercato di tirare fuori un argomento ‘forte’ a sua difesa. A sua giustificazione. È vero, li ha uccisi lui. Ma in quegli anni, in Italia, ‘c’era una guerra’. Una guerra civile. Quindi lui sarebbe responsabile di quegli omicidi come il soldato in prima linea, che uccide quelli che stanno dall’altra parte, con la divisa diversa. Omicidi coperti, dunque, dal ‘diritto di guerra’.
La confessione di Battisti, si diceva, è caduta con un rumore sordo in uno stagno limaccioso. Pochi ne hanno scritto e parlato. In attesa che tutti dimentichino. Perché Battisti era, fino a poco fa, la vittima. Vittima di una persecuzione. Perseguitato dal potere. In fuga. Battisti creativo, Battisti scrittore. Come dicevano gli appelli. Firmati e controfirmati. In Italia e non solo. E quelli che avevano firmato, ora, davanti alle parole di Battisti, non sanno che dire. Devono ancora riprendersi dalla doccia gelata. È comprensibile.
Ma c’era veramente in Italia, in quegli anni ’70, come dice Battisti, una guerra? Una guerra che giustificasse l’uccidere? Che lo rendesse tollerabile? Accettabie? Obliabile?
C’era, questo sì, un clima distruttivo, impazzito, di veleni. Che si era aperto con i modi tentati per chiudere l’esperienza del ’68 italiano. Che si era aperto soprattutto con il 12 dicembre 1969. Con la bomba alla Banca dell’Agricoltura. Milano. Una strage di quelle proporzioni era una novità assoluta, in quegli anni ’60, in Italia. Nessuno se la aspettava. E quella strage cambiò gli italiani. Il boom degli anni ’60 divenne terrore, sospetto. Paura del vicino. Paura del potere. Paura del presente. Paura del futuro.
Quel 12 dicembre è la scintilla che accende la miccia. Anche perché, all’evento criminale si appaia fin da subito l’altro fatto che si legherà agli attentati per tutto il decennio dei ’70. Il depistaggio. L’uso politico delle indagini. Il piegare la verità delle cose ad interessi di parte e di potere. Ben presto, infatti, la responsabilità di quel folle attentato verrà attribuita alla famosa ‘pista anarchica’. Ben prima di concludere le indagini, gli inquirenti dichiarano già di sapere chi è stato. Sono stati il ballerino anarchico Pietro Valpreda e l’altro suo compagno anarchico, il ferroviere Pinelli, a piazzare la bomba in piazza Fontana. Non si discute. Come sempre, l’ingiustizia dà naturalmente vita ad ingiustizia. Pinelli cade morto da una finestra mentre viene interrogato dagli inquirenti a Milano. Valpreda passerà gli anni successivi a tentare di discolparsi. Il tassista che testimonierà di averlo accompagnato, con una borsa, fino a Piazza Fontana, dirà, molto dopo, che quella dichiarazione gliel’avevano messa in bocca. Il commissario Calabresi, che aveva arrestato Pinelli, verrà poi ucciso.
L’ingiustizia, si diceva, crea altra ingiustizia. E una catena infinita di vendette e controvendette. Quella catena cade in mano ad una generazione di giovani nati nell’immediato dopoguerra. Formatisi negli anni ’50 e ’60. Giovani studenti. Giovani operai. Giovani poverissimi. Figli di papà. Una generazione dentro quegli anni con armi e bagagli. Una generazione che si aspetta qualcosa di nuovo. Che crede di poter cambiare il mondo. O che vuole tornare, in parte, ad un certo ‘grande ordine’ del passato. È una generazione che si sente sfruttata. Tradita. Tradita dai propri padri. Padri che vogliono dimenticare il passato. Che si sono venduti. Generazione che si sente tradita soprattutto dal potere. Che li ha svenduti.
Quella generazione, dunque, protesta. Protesta contro il presente. Contro i padri. E la prima protesta di quella generazione è una protesta colorata. Vuole la fantasia al potere. Poi quella protesta diventa più dura. Perché quei giovani nessuno li ascolta. Perché non si rendono conto di venire usati da altri. Perché in mezzo a loro arrivano anche provocatori e criminali comuni. Che li usano per i loro scopi.
Gli anni ’70 cominciano in realtà con quella bomba di Milano. E arrivano su su, attentato dopo attentato, gambizzamento dopo gambizzamento, morto dopo morto, sangue dopo sangue, depistaggio dopo depistaggio, fino al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro. Anche in quell’assurdo caso, una invenzione dopo l’altra. Ancora oggi nessun fotogramma di quell’evento è chiara. Meno di tutti, la conclusione.
In mezzo a quei giovani degli anni ’70, c’era anche Cesare Battisti. Che oggi ha dato almeno, con le sue ultime parole, un elemento concreto. Quei colpi definitivi li ha sparati lui.