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Home»RICERCA»Covid e variante indiana: cosa dicono gli esperti
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Covid e variante indiana: cosa dicono gli esperti

Marina PellitteriBy Marina Pellitteri27 Aprile 2021Nessun commento7 Mins Read
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Il virus si modifica, tracciamento e monitoraggio per individuare le varianti in anticipo

La variante indiana del covid “ci preoccupa come tutte quelle che appaiono nel mondo e di cui sappiamo poco”. E in questo momento “di riaperture e zone gialle dobbiamo avere la massima attenzione e capire tre cose: se è più trasmissibile rispetto al ceppo originale, se è più letale e se resiste ai vaccini”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma.

“Il virus ancora non si è stabilizzato e si modifica – sottolinea Andreoni – e può evidentemente far partire nuove varianti. Dobbiamo tracciare e monitorare per individuarlo in anticipo”.

La comunità indiana in Italia è molto numerosa, cosa occorre fare per evitare che possano diffondersi focolai locali o d’importazione? “Se queste persone sono state in India recentemente o hanno avuto contatti stretti con persone tornate nelle ultime 2-3 settimane – avverte l’infettivologo – nel caso di sintomi occorre che si sottopongano a un tampone, si segnalino alle Asl o al medico di famiglia”. Sul blocco dei voli dall’India deciso dal ministro della Salute, Roberto Speranza, “ha fatto bene: in questa situazione è una misura necessaria”, osserva Andreoni.

“Dobbiamo abituarci ad avere sempre nuove varianti” di Sars-CoV-2. Il coronavirus pandemico “ha cominciato a mutare dalla sua prima comparsa, è un virus a Rna e continuerà a mutare”. Ci tiene a fare questa premessa Maria Rita Gismondo, microbiologa dell’ospedale Sacco di Milano, sentita dall’Adnkronos Salute sulla variante indiana che spaventa in queste ore. Un mutante ancora da studiare, osserva, “perché al momento non sappiamo assolutamente niente” di certo.

“Stiamo approfondendo le ricerche per capire meglio cosa questa variante possa comportare”, spiega la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze del Sacco, precisando che “l’attuale situazione dell’India non può essere correlata esclusivamente a una variante che peraltro nel Paese” asiatico “sta circolando nel 10% dei casi. Bisogna continuare a osservare il virus – esorta la scienziata – continuare a studiare le varianti che ci propone ed eventualmente aggiornare i vaccini a mano a mano che il virus cambia, cosa che è già stata decisa” e su cui le aziende produttrici sono già impegnate.

“Il punto, come per altri precedenti analoghi, rimane sempre quello: per avere certezze bisognerebbe sequenziare almeno l’1% dei casi, il 5% secondo i Cdc (Centers for Disease Control and Prevention). Ma visto che la sorveglianza genomica non la si fa, nel merito della questione, ovvero se la variante indiana debba davvero preoccuparci, al momento dovremmo più correttamente concludere che non lo sappiamo”, sottolinea poi all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione italiana di Medicina personalizzata.

Secondo Minelli, “con i dati attualmente disponibili a me pare improprio parlare di variante indiana. Nella realtà dei fatti, i genomi indiani sono pochissimi (circa 600). Questo ovviamente non esclude che l’esplosione di nuovi casi sia legata a qualche evoluzione, visto che sono state recentemente individuate un paio di mutazioni nuove nella proteina Spike – osserva l’immunologo – Ma affermare con certezza un nesso di causalità mi pare al momento piuttosto ardito, soprattutto in considerazione del fatto che quelle che ci sono possono abbondantemente giustificare ciò che sta accadendo”.

“Un controllo epidemiologico fatto a livello mondiale può sicuramente limitare la diffusione delle varianti” di Sars-CoV-2, mentre “non credo che la limitazione dei viaggi possa totalmente bloccare la loro diffusione”, avverte Gismondo, anche se “certamente può limitarla”.

Secondo il virologo Andrea Crisanti, “se la variante indiana di Sars-CoV-2 è stata trovata in Veneto, vuol dire che è già ampiamente diffusa anche altrove. Perché il nostro Paese ha una bassissima capacità di sorveglianza, non ha la sensibilità necessaria per intercettare tempestivamente” i mutanti. “Ed io sono mesi che dico che bisogna creare un sistema di sorveglianza adeguato in Italia, che ancora non c’è”. “Il problema è che – chiarisce all’Adnkronos Salute il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova – tutte queste nuove varianti rappresentano una minaccia sia alle riaperture, per le quali è già un problema la variante inglese, ma sono una minaccia anche al programma di vaccinazione. Vanno monitorate e noi ancora non abbiamo la capacità per farlo”. “Quella indiana – prosegue Crisanti – sembra una variante che ha un’elevata capacità di trasmissione e, sulla base delle mutazioni che la caratterizzano, potrebbe avere anche una certa resistenza al vaccino”. Se fosse confermato questo aspetto “si abbasserebbe la soglia di protezione. Ciò significa che se una persona vulnerabile è protetta dall’infezione da variante inglese/europea, con questa potrebbe non esserlo altrettanto e fare una malattia più grave”.

Il problema, però, per Crisanti “è generale”. Il dramma dell’India “non si può spiegare solo con carenze strutturali, non è questa e basta la questione. Al di là della situazione sanitaria particolare, può accadere ovunque e lo abbiamo visto: laddove c’è trasmissione elevata del virus, c’è più probabilità che emergano varianti e, se si aggiunge anche il vaccino, il rischio è che si creino varianti resistenti” alle iniezioni scudo. L’ideale quindi “sarebbe vaccinare in una situazione di chiusura – conclude il virologo – Invece noi stiamo facendo l’opposto. E’ impressionante. Incredibile”.

In Italia “non ci sono motivi di allarme per la variante indiana del virus Sars-Cov2. Quello che sta succedendo in India, con il grande aumento dei casi, non è dimostrato che sia dovuto esclusivamente a questa variante. Sappiamo che nel Paese circolano, come in tutti i Paesi, moltissime varianti. Il problema dell’India è che si tratta di un Paese con una densità di popolazione molto elevata e che a rafforzare le misure di contenimento fa fatica. La situazione indiana è completamente diversa dalla nostra”, spiega quindi all’Adnkronos il virologo Giovanni Maga, direttore dell’l’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia. Maga ricorda, inoltre, che queste varianti “circolano da mesi, ma nei Paesi occidentali ci sono stati pochissimi casi. E non ci sono nemmeno segnali che ci sia un’espansione in atto”.

La variante indiana, quindi, “non sembra in grado, in alcun modo, di cambiare il quadro della nostra epidemia. Dobbiamo ricordare che siamo in una situazione in cui c’è un virus che circola ancora in maniera significativa, il ceppo dominante è quello inglese che sappiamo essere più contagioso. Quello che serve, ed è sufficiente, è mantenere le regole di prudenza. Con mascherina, distanziamento e igiene. Questo ci si protegge contro qualsiasi variante”, conclude Maga.

La variante indiana di Sars-CoV-2 “di sicuro ci piace poco perché ha due mutazioni nella proteina Spike, l’uncino” che il coronavirus utilizza per attaccare le cellule bersaglio, “che rendono più facile l’inserimento all’interno dell’organismo”. Tuttavia “è necessario fare ancora alcune valutazioni” su questo mutante virale, spiega ad ‘Agorà’ su Rai3 Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano.

Da un lato, precisa l’esperto, bisognerà “capire se e quanto” questa variante “è più contagiosa” rispetto al virus originale, “come sembra”. E poi sarà necessario chiarire se sfugge ai vaccini e da questo punto di vista “sembrerebbe, in particolare da uno studio israeliano sul vaccino Pfizer, che una capacità di protezione, seppur ridotta, ci sia. Questo rilancia la fondamentale esigenza di procedere il più velocemente possibile con le vaccinazioni”, ammonisce Pregliasco.

Il virologo approva la decisione annunciata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, sul blocco degli ingressi dall’India: “E’ una scelta precauzionale che condivido”, commenta, anche “alla luce della situazione epidemiologica indiana, che sicuramente vede in questa recrudescenza terribile” di Covid-19 “che stanno vivendo anche una riapertura eccessiva in quel contesto e difficoltà organizzative”.

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Marina Pellitteri

Marina Pellitteri direttore responsabile ed editore Aletheia Online

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