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Home»DIRITTI UMANI»Yemen sei anni di conflitto
DIRITTI UMANI

Yemen sei anni di conflitto

Marina PellitteriBy Marina Pellitteri28 Aprile 2021Nessun commento6 Mins Read
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Mentre la peggiore crisi umanitaria del mondo continua, le donne e i bambini costituiscono i tre quarti delle quattro milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case, mettendoli a maggior rischio.

Di Jean-Nicolas Beuze a Hudaydah, Yemen  |  8 Apr 2021

Una madre sola è seduta fuori dal suo rifugio in un insediamento per sfollati nella città di Ibb, Yemen. Un quarto di tutte le famiglie sfollate nel paese è guidato da donne. © UNHCR/Rakan Al-Badani

In un piccolo pezzo di terra alla periferia di Hudaydah, il principale porto dello Yemen sul Mar Rosso, Nabiha, 38 anni, sta cercando di ricostruire la sua vita mattone dopo mattone. Rimasta vedova nei primi giorni del conflitto e sfollata più volte a causa degli scontri, la madre di tre figli sta costruendo una casa che spera possa ripristinare la stabilità che la sua famiglia ha perso.

Originaria di Al-Mokha, una città a 185 chilometri lungo la costa famosa per il commercio di caffè, Nabiha è fuggita a Hudaydah con la madre, il fratello, la figlia e due figli nel 2015, dopo che il marito è stato ucciso in un’esplosione mentre era al lavoro.

“È stato portato di corsa in ospedale. E’ morto dopo una settimana di lotta tra la vita e la morte”, ha detto Nabiha. “È stato un momento molto brutto e difficile per noi. Ho deciso di andarmene. Ero preoccupata che anche i miei figli sarebbero morti… se fossimo rimasti lì”.

Dopo aver speso la maggior parte dei suoi risparmi per l’affitto a Hudaydah, Nabiha si è trovata di nuovo coinvolta negli intensi scontri scoppiati in città alla fine del 2017. La violenza ha ucciso più di 2.900 civili e danneggiato più di 6.600 case, 33 scuole e 43 strade e ponti, rendendo Hudaydah una delle città più colpite in Yemen nei sei anni di conflitto.

“Le famiglie venivano uccise e ferite intorno a noi”.

Senza i mezzi per andarsene e ricominciare altrove, Nabiha non ha avuto altra scelta che rimanere in città, muovendosi con la sua famiglia da un posto all’altro man mano che le linee del fronte si spostavano.

“Vivevo molto vicino ai combattimenti. Ho dovuto spostarmi in un’altra zona perché le famiglie venivano uccise e ferite intorno a noi. Ci siamo spostati tre volte da un quartiere all’altro per evitare i proiettili e gli attacchi aerei”, ha detto Nabiha.

Mentre il conflitto in Yemen entra nel suo settimo anno, le lotte disperate di Nabiha sono diventate un’esperienza familiare per milioni di persone coinvolte nella peggiore crisi umanitaria del mondo.

Dal 2015, sono stati registrati più di 20.000 morti e feriti tra i civili, e più di 4 milioni di persone sono state costrette a fuggire entro i confini del paese. Tre quarti degli yemeniti sfollati sono donne e bambini, mentre una famiglia sfollata su quattro è guidata da donne come Nabiha.

In una società patriarcale come lo Yemen, dove le norme e le pratiche socio-culturali modellano la vita delle donne, il conflitto ha aumentato il rischio di sfruttamento e abuso.

Per cercare di mantenere la sua famiglia, Nabiha lavora occasionalmente come governante e usa le competenze infermieristiche di base che ha imparato dal suo defunto marito – che era un infermiere in un ospedale privato di Al-Mokha – facendo turni in cliniche private locali e facendo iniezioni ai pazienti, prestando il primo soccorso e misurando loro la pressione del sangue.

Oltre a guadagnare tra i 250 e i 500 Rial yemeniti (2-4 dollari) al giorno, la notizia delle sue capacità si è diffusa rapidamente tra i suoi vicini, che vanno da lei per chiedere aiuto e la chiamano affettuosamente “dottore”. In un paese che sta affrontando una grave carenza di personale medico qualificato e dove solo la metà delle strutture sanitarie sono ancora operative, le poche abilità che Nabiha possiede fanno molta strada.

Il poco denaro che riesce a guadagnare è spesso insufficiente a coprire le esigenze di base della famiglia. La loro dieta consiste quasi interamente di riso e fagioli, e spesso hanno abbastanza solo per un pasto vero e proprio al giorno. Nabiha a volte salta anche questo, così i suoi figli hanno più da mangiare.

Queste strategie sono diventate comuni man mano che la crisi nello Yemen si aggrava. Le famiglie sfollate hanno quattro volte più probabilità degli altri yemeniti di soffrire di insicurezza alimentare, e secondo le valutazioni circa 2,6 milioni di sfollati nel paese sono a un passo dalla carestia.

Nabiha ha anche ricevuto assistenza in denaro dall’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, come parte degli sforzi per assistere e proteggere le famiglie sfollate più vulnerabili nel paese.

Negli ultimi due anni, con l’aumentare dei bisogni della popolazione, il programma di assistenza in denaro dell’UNHCR nel paese è cresciuto fino a diventare uno dei cinque più grandi al mondo, aiutando più di un milione di persone ogni anno. Tale assistenza è ancora più essenziale per i due terzi delle famiglie yemenite sfollate che, a differenza di quella di Nabiha, non hanno alcuna forma di reddito.

“Voglio una vita migliore per loro”.

Grazie all’assistenza ricevuta Nabiha è stata in grado di acquistare il terreno dove ora sta costruendo una casa per la sua famiglia, lontano dalle zone degli scontri, oltre ad assicurarsi un prestito e utilizzare gli ultimi risparmi.

“È lontano dalla città e vicino a una discarica, ma è meglio che stare in affitto”, ha detto Nabiha. “Prima pagavo l’affitto e a volte non avevo abbastanza soldi, e il padrone di casa minacciava [di sfrattarmi]. Allora non riuscivo a dormire perché pensavo a come gestire i soldi per l’affitto”.

Per ora, la struttura di base in mattoni consiste in una sola stanza con un tetto provvisorio che perde quando piove. Ma nonostante le continue difficoltà e la sfida di costruire una casa con pochi soldi, Nabiha spera di dare ai suoi figli un’istruzione adeguata e con essa la possibilità di realizzare i loro sogni.

“Mia figlia vuole diventare una farmacista… uno dei miei ragazzi vuole essere un medico e il secondo vuole lavorare nei media”, ha detto Nabiha. “Voglio che i miei figli siano indipendenti. Sono eccellenti nei loro studi. Voglio che contino su se stessi quando morirò. Voglio una vita migliore per loro; migliore della mia”.

Jean-Nicolas Beuze è il Rappresentante dell’UNHCR in Yemen

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Marina Pellitteri

Marina Pellitteri direttore responsabile ed editore Aletheia Online

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