Buchi neri. Il rapporto di CILD sulla detenzione senza reato nei CPR italiani
È stato presentato oggi “Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR”, il rapporto della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD) che fa luce sulle pesanti ombre che avvolgono la detenzione amministrativa dei migranti nei Centri di Permanenza per i Rimpatri, non solo attraverso i dati già esistenti, ma anche raccogliendo, tramite interviste ed accessi civici, informazioni di prima mano provenienti dai principali soggetti detentori, sotto diversi profili, di informazioni rilevanti (ex trattenuti; avvocati e operatori del diritto; giudici; garanti locali; prefetture; autorità sanitarie).
Il primo dato che emerge chiaramente è l’amara constatazione che la detenzione amministrativa sia divenuta, anche nel nostro Paese, una “filiera molto remunerativa”. Nell’ultimo triennio sono stati spesi circa 44 milioni di euro, prelevati dalla finanza pubblica ed attribuiti a soggetti privati per la gestione dei 10 CPR, attualmente attivi sul territorio.
Tra questi privati vi sono anche grandi multinazionali (es. GEPSA o ORS) che, in tutta Europa, gestiscono Centri di trattenimento o servizi all’interno di istituti penitenziari. Con la pericolosa conseguenza di aver, attraverso le politiche di criminalizzazione dei migranti e di privatizzazione dei servizi di gestione dei Centri, aperto un’ulteriore frontiera della speculazione. Un pericolo che sembra divenuto concreto in Italia, dove il campo della detenzione amministrativa vede, da un lato, la ricerca della massimizzazione del profitto da parte delle imprese; dall’altro, una continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato. Nel mezzo vi sono centinaia di uomini e donne, che rischiano di essere privati non solo della libertà ma anche della loro dignità.
Nel Rapporto, infatti, ci si è lungamente soffermati sull’effettiva tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti. Il quadro emerso evidenzia come i CPR siano dei luoghi drammaticamente inumani, caratterizzati da uno strutturale stato di eccezione.
L’eccezione di luoghi di detenzione che molto spesso sembrano non rispettare neanche gli standard fissati dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura. Come dimostrano i casi, approfonditi nel Rapporto, di locali di pernottamento di 20/24 mq in cui dovrebbero “alloggiare” fino a 7 trattenuti o di servizi igienici privi di porte, anche quando i bagni sono “a vista” nelle stanze di pernotto.
L’eccezione di servizi sanitari affidati non al SSN ma agli enti gestori dei Centri ossia a privati, con l’evidente rischio di piegare l’intervento medico e farmacologico a necessità di disciplina e sicurezza delle strutture. Come dimostra l’abuso di psicofarmaci e tranquillanti tra la popolazione trattenuta riscontrato nella maggior parte dei CPR. Una situazione di vera e propria “extraterritorialità sanitaria” che porta a continue violazione dei diritti dei trattenuti lungamente indagati in tale Rapporto: da certificati di idoneità al trattenimento di soggetti affetti da gravi patologie fisiche e psichiche; passando per la presenza delle forze dell’ordine durante le visite mediche; fino alle illegittime prassi di isolamento in quelli che dovrebbero essere dei “locali di osservazione sanitaria”.
L’eccezione di provvedimenti di privazione della libertà personale attribuiti alla competenza della magistratura onoraria (Giudice di Pace) e, nel contempo, l’assenza di un controllo giurisdizionale sulle modalità della custodia.
Ne deriva un diritto di informazione e difesa dei trattenuti, nei fatti, mortificato e violato.
Nel Rapporto si raccolgono preziose testimonianze di operatori e avvocati che denunciano pericolose prassi illegittime: i rimpatri dei cittadini tunisini avvenuti dopo pochissimi giorni dall’arrivo nei CPR, senza aver dato loro la possibilità di richiedere asilo; l’impossibilità per i trattenuti di contattare i propri legali di fiducia fino al giorno successivo all’udienza di convalida del trattenimento; la mancanza nel fascicolo dell’autorità giudiziaria dell’attestazione di idoneità alla vita in comunità ristretta, pur essendo quest’ultima una condizione ineludibile di validità della detenzione all’interno dei Centri; come udienze di convalida e di proroga che mediamente durano dai 5 ai 10 minuti, con provvedimenti dell’autorità giudiziaria che si riducono a formule di stile.
Il Rapporto tenta, dunque, di ricostruire tutti gli stati di eccezioni provocati da quel diritto diseguale che sorregge la detenzione amministrativa dei migranti nei CPR.
Buchi neri, in astrofisica, sono dei corpi con un campo gravitazionale così intenso da non lasciar trapelare neanche la luce e, pertanto, non osservabili direttamente. Non a caso, “buchi neri” è l’immagine che abbiamo, sin da subito, associato al sistema della detenzione amministrativa nei CPR, essendo questi ultimi luoghi opachi e impenetrabili. Ma anche “buchi neri” del diritto dove sono violati o a rischio numerosi principi che costituiscono il fondamento dell’ordinamento giuridico interno e internazionale.
Nella consapevolezza che risulta necessario e non più rimandabile procedere ad un superamento di tale sistema, ponendo fine all’eccezione di una detenzione senza reato, che vive del doppio paradosso di esser privati, anche per mesi, della propria libertà pur non avendo commesso alcun crimine ma, nel contempo, di non vedersi neppure attribuite quelle garanzie (habeas corpus; giusto processo) e quei principi (tassatività, ragionevolezza, proporzionalità) proprie della materia penale.