Dantedi…tutto quanto i nostri predecessori produssero in volgare si chiama siciliano
In occasione del 700 anni dalla morte del Sommo poeta Dante Alighieri, la testata giornalistica Aletheia, vuole omaggiare Dante creando un trait- d’union tra la scuola poetica Siciliana e il dolce Stilnovo. L’evento che prevede una ” dictio Dantis” avrà luogo presso la Cattedrale di Palermo il 5.novembre alle ore 17.30
La Sicilia è importante agli occhi di Dante non solo per i numerosi riferimenti culturali, mitologici e paesaggistici contenuti nella Commedia e in altre opere quanto perché è stata la sede della reggia di Federico II e di Manfredi che hanno dato vita alla scuola poetica siciliana. Una scuola che ha tracciato il primo solco nella formazione della lingua della poesia italiana: solco su cui si sono poi inseriti Bonagiunta da Lucca, Guittone D’Arezzo, gli Stilnovisti è lo stesso Dante che l’hanno migliorata, arricchita, perfezionata. La Magna Curia federiciana è stata inoltre per Dante modello di nobiltà e rettitudine, virtù che spesso facevano difetto nelle corti italiane, ma che egli sperava potessero essere ripristinate nella penisola con la restaurazione dell’impero, vacante ai suoi occhi dalla morte di Federico II. Quest’anno ricorrono le celebrazioni del VII centenario della morte di Dante e nonostante le migliaia e migliaia di studi e ricerche ci sono ancora parecchi punti oscuri nella ricostruzione della sua vita; è stato Dante a Napoli nel 1293 a seguito di un’ambasceria del comune di Firenze per rendere omaggio a Celestino V da poco assurto al Soglio Pontificio? È stato a Roma per il giubileo del 1300, come sembrano suggerire alcuni riferimenti alla Città eterna contenuti nella Commedia? È tornato da Roma a Firenze dopo l’ambasceria presso Bonifacio VIII e prima della condanna definitiva del marzo 1302? È stato a Parigi così come sostengono Boccaccio e Villani e come sembra dedursi da alcuni cenni contenuti nel poema sacro? E quando nel Convivio dice che durante l’esilio è stato peregrino per le parti di quasi tutte alle quali questa lingua si stende, deve intendersi che Dante è stato anche nell’Italia meridionale e in particolare in Sicilia? Anche se quest’ultima eventualità sembra poco probabile,nulla toglie dall’importanza che la Sicilia ha agli occhi di Dante. La nota affermazione di Pascoli che alla Sicilia tendeva il cuor di Dante non va valutata quale esito di un impulso psicologico, sentimentale e culturale o se si vuole di un’appassionata intuizione poetica, ma, come perspicua visione critica di un rapporto ideale quale fu quello di Dante con la Sicilia che è uno degli elementi essenziali nella formazione della cultura dantesca. Sorprende in effetti la quantità di riferimenti che Dante fa la Sicilia lungo tutto il poema sacro e in altre opere; come non ricordare per esempio l’evocazione della straordinaria forza d’urto delle acque di Scilla e Cariddi per descrivere la terribile pena degli avari e prodighi o l’imponenza dell’Etna come fucina di vulcano a proposito dei Ciclopi nell’episodio di Capaneo? Ma per Dante la Sicilia non è soltanto la bella Trinacria e anzi soprattutto la sede della Corte federiciana che tanta importanza ha ai suoi occhi di poeta, di cultore della lingua di pensatore politico. Anche se nella commedia le sue convinzioni religiose lo spingono a condannare Federico II fra gli eretici, Dante nutre una grande ammirazione per l’ultimo imperatore dei romani, ammirazione che si estende al figlio Manfredi che a differenza del padre ha salvato in extremis nonostante i suoi orribili peccati per l’opera straordinaria che ambedue hanno realizzato durante il loro il regno e per lo splendore raggiunto dalla reggia palermitana ne è testimonianza un celebre Passo del De Vulgari Eloquentia che giustamente è stato definito il momento di massima e incondizionata esaltazione di Federico II da parte di Dante. “e certo che quegli eroi luminosi Federico imperatore e il suo degno figlio Manfredi, spandendo la nobiltà e la dirittura dello spirito, finché la fortuna lo permise, perseguirono ciò che è umano, sdegnando ciò che è da bruti per questo, quanti erano nobili di cuori e ricchi di qualità si sforzano di restare vicini alla maestà di principi tanto grandi, sì che ai loro tempi tutto ciò che partorivano gli spiriti più insigni fra gli italiani vedeva la luce nella reggia di quei sovrani: e poiché il trono regale era in Sicilia, accade che tutto quanto i nostri predecessori produssero in volgare si chiama siciliano ciò che teniamo per fermo anche noi,
e i nostri posteri non potranno mutare “.