Vitigni resistenti: via libera europeo all’inserimento nei disciplinari delle Doc
È una bella notizia per l’ambiente e per i vignaioli, commenta Venanzio Francescutti, presidente di FedAgriPesca Fvg
«È una bella notizia quella che arriva da Bruxelles e che è stata comunicata dal professore Attilio Scienza, neo presidente del Comitato Nazionale Vini. Parliamo della possibilità introdotta, anche per l’Italia, di poter inserire nei Disciplinari delle Doc i vitigni resistenti alle fitopatie», dice Venanzio Francescutti, presidente regionale di FedAgriPesca.
«Un importante decisione non solo per i Vivai Cooperativi Rauscedo (Vcr) che, da molti anni, sono impegnati nella ricerca sul fronte della viticoltura sostenibile e che si sono dedicati a moltiplicare e diffondere queste varietà più sostenibili che rispettano l’ambiente e che riescono a far risparmiare agli agricoltori fino all’80 per cento di trattamenti sulle viti e le uve, con le relative positive conseguenze per la salubrità dei vini prodotti».
«I responsabili di Consorzi e Denominazioni – ha poi raccomandato Scienza – si mettano in fila per chiedere al Comitato l’inserimento dei vitigni resistenti nei loro vini».
Il progetto sui vitigni resistenti è stato avviato nel 1998, in collaborazione con l’Università di Udine, l’Istituto di Genomica Applicata (che, per primo al mondo, ha sequenziato il genoma della vite) e alcuni privati. La realizzazione dei primi vitigni è datata 2011 (oggi sono già 15), da parte dei Vcr che, attualmente, li riproducono e li esportano in oltre 20 Paesi del mondo (in primis, la Francia), con una certa diffusione anche in Friuli VG dove sono già stati autorizzati dalla Regione (assieme ad altre 5 Regioni italiane) e sono circa una ventina le aziende che li hanno piantati. Una diffusione che ora potrà aumentare (attualmente, in Italia, si stimano circa 1.000 ettari investiti), grazie a questa decisione della Comunità Europea. Del resto, in altri Paesi europei (Austria, Francia, Germania, Danimarca, Ungheria) le Doc sono già autorizzate a inserire le varietà resistenti nei loro disciplinari mentre, in molte regioni d’Italia, la loro coltivazione è ancora limitata al solo “vino da tavola” o Igt.