L’Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi esorta i leader mondiali ad arginare le conseguenze umanitarie più devastanti della crisi climatica e a evitare un futuro catastrofico per milioni di persone costrette a lasciare le loro case.
“La COP27 deve fornire ai Paesi e alle comunità più esposti alla crisi climatica gli strumenti per prepararsi ai climi estremi, per adattarsi e minimizzare l’impatto dell’emergenza climatica” ha detto Grandi. “Non possiamo lasciare milioni di rifugiati e sfollati e le comunità che li ospitano ad affrontare da soli le conseguenze del cambiamento climatico.”
All’impatto degli choc climatici in tutto il mondo si uniscono i conflitti, la grave insicurezza alimentare, i prezzi in aumento e gli effetti della pandemia di COVID-19; ma coloro che sono meno responsabili della crisi climatica e meno in grado di adattarsi alle sue conseguenze ne subiscono gli effetti più gravi.
La conferenza sul clima dell’ONU di quest’anno avviene sullo sfondo di catastrofi climatiche, dalle alluvioni senza precedenti in Pakistan alla peggiore siccità degli ultimi decenni in tutto il Corno d’Africa.
In Somalia, sono circa un milione le persone costrette a fuggire a causa della siccità e della minaccia della carestia. In Mozambico, cicloni devastanti hanno colpito decine di migliaia di persone già sfollate a causa della violenza, mentre il Sud Sudan e il Sudan lottano per il quarto anno di seguito contro inondazioni senza precedenti. Più di 3,4 milioni di rifugiate e sfollati e le comunità che li ospitano affrontano le conseguenze delle recenti inondazioni catastrofiche in Nigeria, Chad, Camerun e nei paesi centrali del Sahel (Nigeria, Burkina Faso e Mali), una regione che già vive una delle peggiori crisi di migrazioni forzate del mondo.
Nell’Estremo Nord del Camerun è esplosa la violenza intercomunitaria tra allevatori, pescatori e agricoltori a causa delle scarse risorse idriche, poiché il Lago Chad e i suoi affluenti si sono prosciugati a causa della siccità. Negli ultimi mesi dello scorso anno più di 100 persone sono state uccise o ferite, e decine di migliaia hanno lasciato le loro case.
Nel frattempo, la siccità nel Dry Corridor (“corridoio arido”) dell’America Centrale ha costretto i contadini a fuggire nelle città vicine, dove sono esposti alla violenza delle gang di strada. E in altre parti della regione, come in Honduras, il cambiamento climatico è un’ulteriore causa di migrazioni forzate, con uragani sempre più forti e frequenti.
Oltre il 70% dei rifugiati e sfollati del mondo viene dai paesi più vulnerabili ai fenomeni del clima, come l’Afganistan, la Repubblica democratica del Congo, la Siria e lo Yemen. Per loro la posta in gioco è altissima, ma troppo spesso vengono esclusi dalle discussioni sulla crisi climatica.
Solo un’azione decisa e un massiccio aumento dei finanziamenti per la mitigazione dell’adattamento al clima possono alleviare le conseguenze umanitarie, presenti e future, della crisi climatica per le popolazioni sfollate e le comunità ospitanti. Gli investimenti devono essere collaborativi, inclusivi e cercare soluzioni per i più vulnerabili. I leader mondiali devono guardare a un’azione incisiva, duratura e integrata che coinvolga le comunità locali, i governi e i partner già impegnati nella lotta agli eventi climatici estremi. In alcuni contesti l’adattamento non sarà sufficiente e occorreranno altre risorse finanziarie per l’inevitabile “loss and damage”, di cui un esempio eclatante è la fuga dalle proprie case.
I timori e le soluzioni per le persone rifugiate e sfollate devono trovare posto non solo nei dibattiti come alla COP 27, ma devono ricevere un sostegno molto maggiore negli “hotspot” climatici.