Non bastano, al governo italiano, 33mila morti nella Striscia di Gaza, di cui 13800 bambini, intere città rase al suolo, la fame e le malattie usate come arma di guerra, per alzare la voce, per dire basta, per mettere le sanzioni, per imporre, non per implorare, il cessate il fuoco a Gaza?
Un avvocato palestinese, Salahaldin Abdalaty, più volte sfollato nella striscia di Gaza e che ha perso sei membri della sua famiglia in un raid israeliano, ha presentato un ricorso d’urgenza al Tribunale di Roma per chiedere che l’Italia, se non vuole essere complice di crimini, fermi la vendita di armi a Israele, ripristini i fondi a Unrwa e si impegni, in tutte le sedi, per il cessate il fuoco. Tutte cose che il governo italiano avrebbe già dovuto fare.
La Corte internazionale di giustizia ha chiesto a Israele di impedire atti di genocidio e di lasciare entrare gli aiuti umanitari nella Striscia. Una decisione che impegna Israele e tutti gli Stati. Tutti. Invece il governo italiano non ha ancora sbloccato i fondi all’Unrwa, come fatto dall’Ue e si limita a dichiarazioni generiche. Il ministro Tajani si è rallegrato che il suo omologo Katz abbia garantito collaborazione per il programma “Food for Gaza”.
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Ma a Tajani sfugge che è un obbligo, in primis per Tel Aviv, non una gentile concessione, fornire gli aiuti. Il nostro governo parli chiaro e agisca perché quanto stabilito dalla Corte internazionale sia applicato prima possibile e si ponga fine al massacro.
#CeaseFireNow