13 – 14 maggio, ore 20:45 | Firenze, Teatro della Pergola – Saloncino ‘Paolo Poli’
18 – 19 maggio, ore 20 | Parigi, Théâtre de la Ville – Espace Cardin
Teatro della Pergola
in collaborazione con Groupe Karol Karol
INTERNO/ESTERNO
da “Interno” di Maurice Maeterlinck
traduzione e adattamento di Charles Chemin, Sofia Menci, Marco Santi
ideazione e regia Charles Chemin
collaborazione artistica Marcello Lumaca
ambiente sonoro Dario Felli
collaborazione alle luci Orlando Bolognesi
coordinamento tecnico Samuele Batistoni
costumi Elena Bianchini
sarta Eleonora Sgherri
vocal coach Marco Toloni
collaborazione alla scrittura e interpretazione Maria Casamonti, Pietro Lancello, Annalisa Limardi, Giacomo Lorenzoni, Alberto Macherelli Bianchini, Costanza Maestripieri, Sofia Menci, Elena Meoni, Giovanna Chiara Pasini, Marco Santi, Federico Serafini, Emanuele Taddei
collaborazione alla produzione Simona Fremder
coordinamento alla produzione Chiara Donà
Durata: un’ora e trenta minuti, atto unico.
Charles Chemin mette in scena interno/esterno con dodici giovani attrici e attori. Dopo l’anteprima della primavera scorsa, sarà il 13 e il 14 maggio a Firenze, al Teatro della Pergola, nel rinnovato Saloncino ‘Paolo Poli’, e il 18 e il 19 maggio a Parigi, al Théâtre de la Ville, Espace Cardin, nel quadro degli Chantiers d’Europe 2022.
L’idea di base dello spettacolo nasce dall’atto unico Interno di Maurice Maeterlinck e vede anche la presenza di brani scritti dal gruppo di lavoro: l’insieme è una riflessione sul periodo che abbiamo appena attraversato, su come un gruppo di giovani artisti abbia vissuto il difficile momento della pandemia – arrivata proprio nel momento in cui era in corso la loro formazione – e immagini il dopo, il futuro che verrà.
interno/esterno arriva dopo un percorso articolato di incontri, all’interno di un ampio programma di scambi di esperienze tra artisti affermati e giovani performer in formazione ideato nel 2019 anche grazie a Elisabetta Di Mambro.
Un “metodo” inscritto in un sistema di relazioni che vede nell’investimento sui giovani e nello sviluppo dell’attività internazionale, attraverso partenariati, uno degli obiettivi identitari primari della Fondazione Teatro della Toscana.
Il lavoro rientra nell’ambito dei progetti legati alla Carta 18-XXI, la chiamata all’impegno rivolta al mondo della cultura in favore dei giovani promossa dal Théâtre de la Ville di Parigi e dal suo direttore Emmanuel Demarcy-Mota e alla quale il Teatro della Toscana ha aderito fin da subito.
«Con questo gruppo di attrici e di attori ci siamo incontrati mentre frequentavano il Corso per Attori “Orazio Costa” del Teatro della Pergola – racconta Charles Chemin – vennero al montaggio di Mary Said What She Said con Isabelle Huppert, dove lavoravo come co-regista di Bob Wilson. Sembravano sorpresi del fatto che avessi tante domande per loro quante loro per me. Interrogativi su quello che conoscevano e amavano in campo artistico, i loro punti di vista sull’estetica del teatro, il ruolo dell’attore in una regia, i sogni sul loro futuro e molte altre cose».
Nella linea di discendenza del teatro-danza, interno/esterno è una composizione ibrida di immagine visiva, azione gestuale e testo, che crea un mondo sfuggente, ritraendo i pensieri prospettici di una generazione giovane di artisti.
Ideato e diretto da Charles Chemin, lo spettacolo parte dall’atto unico Interno di Maurice Maeterlinck, incentrato sul tema degli esseri umani che affrontano il loro destino e le loro fantasie, per stabilire un ponte poetico con dodici giovani attrici e attori.
Le loro parole personali e improvvisazioni fanno eco allo stato d’animo e ai sogni di un giovane che vive in una società in rapido cambiamento e giunge al termine dei propri studi in mezzo a una pandemia.
«Con questo gruppo di attrici e di attori ci siamo incontrati mentre frequentavano il Corso “Orazio Costa” del Teatro della Pergola. Vennero al montaggio di Mary Said What She Said con Isabelle Huppert, dove lavoravo come co-regista di Bob Wilson. Sembravano sorpresi del fatto che avessi tante domande per loro quante loro per me. Interrogativi su quello che conoscevano e amavano in campo artistico, i loro punti di vista suII’estetica del teatro, il ruolo deII’attore in una regia, i sogni sul loro futuro e molte altre cose.
Elisabetta Di Mambro aveva già portato alla scuola personalità artistiche molto particolari, come Serge von Arx o Euripides Laskaridis, per workshop nei quali il focus non era tanto suII’insegnare, ma sul condividere esperienza. Quando è stato il mio turno di preparare un workshop, I’idea principale era che gli attori non sono solo i portatori del messaggio di un regista, ma possono essere creatori artistici loro stessi, nel cuore di un testo, generandone il materiale di base, e che I’orizzontaIità è importante quanto la conoscenza diretta di una materia. E la stessa cosa che ho sperimentato e adesso stimolo al Watermill Center di New York, dove la creazione di un ambiente collaborativo tra campi artistici e pratiche differenti, e non solo l’insegnamento verticale, è un modo di aiutare nella crescita i giovani artisti.
Così, abbiamo discusso, e avuto degli scambi come facevano gli antichi greci dopo aver condiviso un pasto. Ci siamo seduti, e guardati a vicenda. Li ho invitati a realizzare delle piccole messe in scena come momenti d’arte performativa silenziosi, principalmente improvvisate. Li ho fatti parlare di cose personali, del loro rapporto con il mondo. Come crescono gli artisti? Come si costruisce la propria vita, e si seguono o si contraddicono le proprie aspirazioni? Inoltre, il loro rapporto con la bellezza mi ha incuriosito, poiché studiavano in una città come Firenze, con la sua ricchezza, ma anche successivi e chiari canoni estetici. Questo tipo di domande ha alimentato i dibattiti tra di noi.
Poi sono venuti ad Aix-en-Provence per I’aIIestimento di un altro spettacolo di Wilson, Jungle Book, dove abbiamo lavorato insieme su come questo spettacolo avrebbe potuto essere promosso da loro a Firenze, e hanno anche collaborato come controfigure sul palco durante le sessioni mattutine di puntamento luci. Era importante che vivessero ciò che portava esperienze, il fatto di crescere come artisti con qualsiasi prospettiva si potesse ottenere sul campo del teatro e nella vita in generale. Hanno partecipato tutti insieme alla costruzione di uno spettacolo: hanno seguito il proprio percorso e la propria crescita.
Poi è venuta la pandemia, neII’anno del loro diploma. Sono stati privati delle basilari relazioni col mondo in un momento cui avevano bisogno di esperienze concrete. Abbiamo fatto un workshop online, più plastico, ispirato ai percorsi di artisti di diversi campi: scultura, pittura, danza, architettura, cinema, performing art, fotografia. Abbiamo rivolto Io sguardo anche a un atto unico di Maeterlinck che riecheggiava le loro preoccupazioni e anche aspetti belli del teatro: il non detto, il non conosciuto, Io spazio tra le parole, e tra un’azione e Ie sue conseguenze, questioni universali di spazio e tempo che sono misteri fondamentali del teatro. Hanno dato forma e ancora sviluppato tutti i tipi di materiali, che avremmo potuto in seguito – tra blocchi, coprifuoco e restrizioni nei viaggi – tramutare in questioni, momenti, scorci di vita, tali da aiutarci a costituire un testo sulla base delle domande sulle quali avevamo lavorato fin daII’inizio.
Di certo, non sto costruendo uno spettacolo con degli studenti. Sto lavorando sul confine fantasmatico tra realtà e finzione, al crocevia tra teatro, danza e performing art, con e su una generazione più giovane di artisti, nella complessità del loro essere».
Charles Chemin