L’arte contemporanea internazionale fino al 14 novembre conquista la strada della Dolce Vita
Roma, 24 settembre 2021 – Ieri, set di film che hanno contribuito a creare l’immaginario collettivo. Oggi, teatro di interventi di arte contemporanea. La strada della Dolce Vita torna grande protagonista della scena culturale romana, tra arte e cinema. Consacrata dal grande schermo con il capolavoro felliniano, oggi via Veneto si conferma spazio creativo, vivo e vitale, aperto al nuovo.
Ecco allora, dal 25 settembre, “Via Veneto Contemporanea”, esposizione a cielo aperto di opere di Erwin Wurm, artista austriaco di fama internazionale. A dialogare, in un’interessante trama di sollecitazioni, sono le memorie della vita cittadina, l’immaginario alimentato dai film e il nuovo percorso espositivo, che vede l’arte occupare gli spazi pubblici, uscendo dalle aree ad essa abitualmente deputate, assicurando un’esperienza espositiva dinamica e in assoluta sicurezza. E “sorprendendo” visitatori, appassionati, nonché curiosi e semplici passanti, attraendo cittadini e turisti che – attraversando lo spazio urbano – potranno interrogarsi, discutere, riflettere. Obiettivo offrire “sguardi” inusitati sulla strada e, attraverso di essa, sulla città e invitare i romani a riscoprire la zona, nella forza delle sue memorie, ma anche, ad oggi meno indagata, nell’energia della sua contemporaneità.
Tra “Performative Sculptures”, “Sculture Tascabili” e “Sculture a metà” sono quattordici gli interventi di Erwin Wurm, tratti dalle sue serie più celebri, che, fino al 14 novembre, comporranno il percorso di “Via Veneto Contemporanea”, a cura di Catherine Loewe, esposizione gratuita a cielo aperto, nella strada della Dolce Vita, dalle Mura Aureliane fino ai punti più iconici della via.
La mostra sarà la prima installazione urbana realizzata da Wurm a Roma ed è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’arte contemporanea diventa così un modo per rileggere scenari noti, tramite inusitate suggestioni che accendono i riflettori sulla città, catturando nuovi sguardi.
Venuto alla ribalta a fine anni ‘90 con le sue One Minute Sculptures, incentrate sull’interazione tra le opere e il corpo degli spettatori, Wurm, classe 1954, fa di “gioco” e provocazione gli strumenti per indagare e superare i confini materiali e concettuali della scultura. I lavori, irriverenti e di grande impatto, spesso portano in primo piano, in dimensioni monumentali, oggetti di uso comune, coinvolgendo in modo diretto l’osservatore. Ad essere investigati e illustrati sono elementi – e, di rimando, aspetti – intimi del quotidiano, abitualmente confortanti, che, proprio per le grandi e grandissime dimensioni, sembrano incombenti. Sorriso e sorpresa, ma anche malinconia, forse una nota di inquietudine, diventano gli strumenti per sollecitare la riflessione sulla vita e su noi stessi.
Nel percorso, alcune opere iconiche dell’artista. Ecco allora, incorniciata dall’arco di Porta Pinciana, Big Mutter (2015), borsa dell’acqua calda di grandi dimensioni che si regge sulle proprie gambe, omaggio a cura e affetto che le madri dimostrano per i propri figli. Ed ecco Boot, Butter e Boxing Glove (2015-16) nella serie delle Performative Sculptures. Poi, le Sculture Tascabili, serie di borse e valigie su gambe (2017-21) e le “Sculture a metà”, due delle quali dipinte di rosa, nella tonalità delle gomme da masticare. Di opera in opera, ad essere raccontate sono ricerca e filosofia dell’artista, indagate però anche in relazione al luogo e al momento. Così, ad esempio, contemplando Fat House (2003) tornano alla mente eccessi e golosità del cinema felliniano, ma è inevitabile pensare pure al significato di casa, specie in epoca di pandemia, e, ovviamente, al messaggio insito nell’opera che si fa vivace critica alla nostra ossessione per la dieta e per la magrezza.
Via Veneto e, più in generale, Roma, dunque, si rivelano teatro ideale per la riflessione artistica di Wurm. Fuse in alluminio e bronzo e, in questo modo, consacrate all’eternità, le sue Valigie rendono “infinito” l’istante. Oggetti comuni, apparentemente banali, vengono elevati allo status di opere arte. La loro presenza, nel centro storico di Roma, diviene provocazione e invito – ironico ma serio – a meditare su come e quanto si possa dare al quotidiano una dimensione aulica. La “passeggiata” in via Veneto offre l’occasione, di fatto, per guardarci allo specchio, interrogarci su chi siamo e su come siamo diventati. Magari anche su come vorremmo essere.
Erwin Wurm (Bruck an der Mur, 1954) ha conquistato i riflettori internazionali, a fine anni ‘90 , con le One Minute Sculptures, nelle quali proponeva l’interazione tra le opere e il corpo degli spettatori. Nel tempo, le sue sculture hanno iniziato a prendere fattezze umane. Le sue opere antropomorfe come Big Mutter, Big Coat e le sue Bag, sono appoggiate su gambe con caratteristiche o posture che evocano personalità distinte. Surreale e iperreale allo stesso tempo, il suo lavoro sembra situato in una dimensione esistenzialista a metà tra il piacere e la disperazione. Nella sua serie Verschnittskulpturen di bronzi senza testa costituiti da figure affettate e tagliate a dadini, gli abiti sembrano assumere una vita propria. Wurm ha ricevuto numerosi riconoscimenti: nel 2013, il Gran Premio dallo Stato Austriaco. Nel 2015 è diventato Austriaco dell’anno nella categoria dei Beni Culturali. Ha partecipato due volte alla Biennale di Venezia, la prima alla 54a Biennale di Venezia nel 2011, esponendo la sua installazione Narrow House a Palazzo Cavalli Franchetti nell’ambito dell’evento Glasstress. È tornato a Venezia per la 57a Biennale nel 2017, dove ha rappresentato l’Austria nel padiglione nazionale.
Il lavoro di Wurm si trova nelle collezioni permanenti di molti musei in tutto il mondo, tra cui MoMA, The Museum of Modern Art di New York, Centre Georges Pompidou di Parigi, Tate Modern di Londra, Museum Ludwig di Colonia, Albertina di Vienna, Baltimore Museum of Art, Kunsthaus Zurich, National Gallery of Victoria a Melbourne, Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, National Museum of Art, Osaka, Vancouver Art Gallery e Walker Art Center a Minneapolis.