Il 12 maggio del 1997, dopo 23 anni di incredibile e ingiustificabile chiusura e in coincidenza con il centenario dell’inaugurazione, il Teatro Massimo veniva riaperto al pubblico con un doppio concerto: il primo, nel pomeriggio, diretto da Franco Mannino con il Coro e l’Orchestra del Teatro; il secondo, la sera, diretto da Claudio Abbado con l’orchestra dei Berliner Philharmoniker.
Un quarto di secolo dopo, per ricordare questa ricorrenza il Teatro ha invitato Michele Mariotti, direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma, a dirigere l’Orchestra e il Coro del Teatro con un concerto celebrativo che vuole confermare la vitalità e la presenza del teatro nel tessuto sociale e culturale della città.
Il programma del concerto, giovedì 12 maggio 2022 alle 20:30, vede una successione di grandi composizioni: si comincia infatti con i Vier letzte Lieder di Richard Strauss, I quattro ultimi canti, che sono il messaggio di congedo dal mondo del compositore bavarese. Strauss aveva già ottantaquattro anni quando li scrisse nel 1948, e furono eseguiti solo dopo la sua morte, nel 1950. Ad eseguirli con l’Orchestra del Teatro Massimo sarà il soprano Christiane Karg. A seguire Schicksalslied (Canto del destino) di Johannes Brahms su testo del poeta romantico Friedrich Hölderlin. Anche Brahms, come Strauss, si interroga sul destino dell’uomo. Ma se la dimensione di Richard Strauss era individuale, le domande di Brahms hanno una portata collettiva: il testo di Hölderlin quindi non è affidato a una voce solista, ma al Coro diretto da Ciro Visco.
Chiude il concerto la Sinfonia n. 9 “Dal nuovo mondo” di Antonín Dvořák. In questa sinfonia il compositore infonde la curiosità e il fascino di questo “nuovo mondo” che gli si apriva nelle sale da concerto ma anche nelle strade: fu lui a spingere i giovani musicisti incontrati in America ad abbandonare i modelli europei per scrivere una musica che rispecchiasse la loro esperienza, così come anche lui aveva portato le melodie tradizionali nelle sue opere. Le melodie e i ritmi della sinfonia risentono così tanto della suggestione delle scoperte americane che della nostalgia della patria