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Home»Notizie dal mondo»Morte Navalny, Biden: “E’ Putin il responsabile”
Notizie dal mondo

Morte Navalny, Biden: “E’ Putin il responsabile”

Marina PellitteriBy Marina Pellitteri16 Febbraio 2024Nessun commento7 Mins Read
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(FILES) In this file photo taken on March 11, 2022 Russian President Vladimir Putin stands in a hall prior to a meeting with his Belarus' counterpart at the Kremlin in Moscow. - US President Joe Biden will warn his Chinese counterpart Xi Jinping on Friday that he will face "costs" if Beijing rescues fellow authoritarian ally Russia from intense Western sanctions aimed at punishing Moscow's invasion of Ukraine. The two leaders' first phone call since a video summit in November will be a chance to air differences as the United States spearheads an unprecedented pressure campaign on Russia, placing China in a geopolitical bind. (Photo by Mikhail KLIMENTYEV / SPUTNIK / AFP)
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Morte Navalny, Biden: “E’ Putin il responsabile”

Le parole del presidente americano sulla morte del dissidente russo

“Putin è responsabile per la morte di Navalny”. A dichiararlo è stato il presidente americano Joe Biden intervenendo dalla Casa Bianca sulla notizia della morte del dissidente russo in carcere a 47 anni. “Navalny assassinato? E’ conseguenza di quello che ha fatto Putin” aggiunge, rassicurando gli americani sul fatto che “non c’è una reale minaccia nucleare” in risposta a una domanda riguardo all’allarme lanciato dai giorni scorsi riguardo al fatto che i russi starebbero sviluppando delle armi nucleare spaziali. Sottolineando che le informazioni di intelligence riguardano “capacità” per eventuali attacchi “a satelliti”, il presidente ha poi sottolineato che queste eventuali armi non sono ancora operative: “Non l’hanno ancora fatto e spero che non lo facciano”.

La storia di Aleksei Navalny – il suo impegno politico, le aggressioni, l’avvelenamento che ha subito, gli abusi in carcere, la sua morte oggi a 47 anni – si intreccia con le sue traversie giudiziarie, udienza dopo udienza, cavillo dopo cavillo da parte del regime nella farsa della giustizia portata avanti fino all’ultimo, ancora di più che per altri oppositori al potere in Russia.

Dopo i numerosi fermi alle manifestazioni di protesta di cui è uno dei volti più riconoscibili sin dai ‘rally’ del periodo 2011-2012 contro le frodi elettorali e contro il “partito dei ladri e dei truffatori” – secondo la sua fortunata definizione del partito al potere Russia unita- viene condannato penalmente per la prima volta il 17 luglio del 2013, esattamente il giorno dopo l’annuncio della sua candidatura alle elezioni di Mosca. La condanna più recente, e di certo non l’ultima, è arrivata, in un’aula di tribunale improvvisata nella colonia penale Ik-6 della regione di Vladimir, nell’agosto del 2023.

Dalla prima condanna agli arresti e al tentativo di avvelenamento
La prima condanna al dissidente morto oggi viene pronunciata da un tribunale di Kirov, a 3.500 chilometri di distanza da Mosca. Cinque anni di carcere per corruzione in relazione al periodo in cui l’avvocato ed economista era consulente del governatore della regione e alla vendita di legname della azienda pubblica Kirovles. Navalny, da anni impegnato a smascherare la mancanza di trasparenza e la corruzione delle grandi aziende di Stato, riuscirà comunque a candidarsi a Mosca, dato che la condanna è solo di primo grado.

Riceve più del 27 per cento dei voti. Non abbastanza per vincere sul candidato putiniano Sergei Sobyanin ma abbastanza per rivendicare un successo clamoroso in un Paese in cui le elezioni sono sotto lo stretto controllo dello Stato e mettere in guardia il Cremlino. Sarà questa la prima e unica elezione a cui prenderà parte.

Pochi mesi dopo essere stato incriminato penalmente per la prima volta nel 2012, viene formulato nei suoi confronti un secondo capo d’accusa. In relazione a una sua consulenza per la filiale russa della Yves Rocher. Nell’ottobre del 2013 viene sospesa la pena per il caso Kirovles.

Nel febbraio del 2014, l’oppositore viene messo ai domiciliari in relazione al caso Yves Rocher per cui sarà condannato a tre anni e mezzo di carcere, anche in questo caso con pena sospesa. Il fratello Oleg, coinvolto nello stesso processo, andrà invece in carcere. Nel 2016 la Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui Navalny si era appellato per il caso Kirov, sancisce violazioni durante il processo. La Corte suprema russa ne chiede il rifacimento. A febbraio del 2017 il tribunale di Kirov conferma la condanna a cinque anni di carcere. Nell’ottobre di quell’anno, la Corte europea boccia anche il processo Yves Rocher come non corretto.

Navalny, che è stato borsista negli Stati Uniti, blogger anti corruzione dal 2008, con il sito web Rospil dal 2010, viene tollerato dalle autorità solo fino a quando si limita a denunciare casi di abuso di potere e arricchimento personale, a intrufolarsi nelle assemblee degli azionisti dei grandi gruppi bancari e dell’energia russi quotati in borsa grazie all’acquisto di una manciata di azioni per reclamare trasparenza, perfino a chiamare Russia unita il “partito dei ladri e dei truffatori”. Ma il suo ingresso in politica è la linea rossa che non gli è concesso superare.

Subirà un tentativo di avvelenamento con il Novichok – inconfondibile impronta degli apparati di sicurezza russi – nell’agosto del 2020, dopo che la sua fondazione politica aveva aperto uffici in tutta la Russia in vista delle elezioni regionali di settembre dove peraltro i candidati che aveva sostenuto hanno successo insperato. Un’altra linea rossa da non superare.

Viene salvato per una serie di circostanze fortuite e due dei medici che lo hanno curato al pronto soccorso di Omsk, dove il suo aereo aveva fatto un atterraggio di emergenza a causa dei violenti sintomi, sono in seguito morti in circostanze fortuite. Il Cremlino non può non approvare il suo trasferimento d’urgenza – in coma – in Germania. Ma Navalny sa, come ogni esponente di spicco dell’opposizione, come anche Vladimir Kara-Murza, che non può rimanere fuori dalla Russia e allo stesso tempo fare politica e incarnare la possibilità di una alternanza al potere. Torna a Mosca all’inizio del 2021.

Viene arrestato ancora prima di passare il controllo del passaporto. Pochi giorni dopo alza di nuovo l’asticella della sfida oramai diretta a Vladimir Putin. Viene diffusa la sua video inchiesta sul Palazzo sul Mar Nero del Presidente russo. Viene condannato per violazione dei termini della pena sospesa nel caso Yves Rocher, vale a dire per essere stato in Germania a curarsi. Dovrà scontare due anni e mezzo di carcere. Nel marzo del 2022 è condannato ad altri nove anni di carcere per appropriazione indebita.

Il programma politico di Navalny è incentrato contro Vladimir Putin e il suo regime corrotto. E’ sempre stato nazionalista. Ma se nel 2014 aveva sancito l’annessione della Crimea “che in realtà è nostra, ora è parte della Russia”, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio del 2022, ha fatto marcia indietro e si è espresso per l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Chi era Navalny, dall’ultranazionalismo alla Fondazione e all’isolamento
Navalny era nato nel 1976, in piena stagnazione brezhneviana, in una famiglia bene integrata nel sistema. Padre ufficiale dell’Armata rossa, madre economista. E’ cresciuto in diverse città militari della regione di Mosca e ha trascorso le estati in campagna dalla nonna materna, vicino a Cernobyl, in Ucraina. Il disastro e il tentativo di copertura da parte delle autorità sovietiche, di cui furono testimoni, e Aleksei di conseguenza, è forse la prima rottura della fiducia.

E’ un giovane brillante, poi in grado di usare i social alla perfezione, ma anche l’ironia. Sposerà Yulia, da cui avrà due figli. Darya, la maggiore, studentessa in California, ha preso posizioni pubbliche in difesa del padre.

Le sue cadute contro gli immigrati dell’Asia centrale (“scarafaggi da schiacciare con il retino”) dei suoi inizi, fatte riemergere ad arte dopo il suo rientro in Russia nel 2021, gli sono costate la cancellazione del suo status di prigioniero di coscienza da parte di Amnesty International. Un passo falso su cui l’organizzazione internazionale ha fatto marcia indietro in seguito. Milita inizialmente nel partito liberale Yabloko che lo espelle nel 2007, dopo la sua partecipazione a una manifestazione di ultra nazionalisti a Mosca.

Nel 2011 apre la sua Fondazione contro la corruzione (Fbk) da cui nasce la rete degli uffici politici. Entrambe le organizzazioni saranno dichiarate come estremiste nel 2021.

Lo scorso agosto, già rinchiuso nella colonia penale Ik-6 della regione di Vladimir, viene condannato anche per estremismo ad altri 19 anni di carcere e quindi al trasferimento in una colonia penale a regime speciale. Arriverà a Kharp, oltre il circolo Polare Artico, dove il 26 dicembre i suoi avvocati riescono finalmente a incontrarlo dopo che per 20 giorni era sparito, assorbito dal collaudato e barocco sistema di trasferimenti da un carcere all’altro in Russia. Mercoledì, per la 27esima volta dall’inizio della sua detenzione, viene trasferito in una cella di isolamento.

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Marina Pellitteri

Marina Pellitteri direttore responsabile ed editore Aletheia Online

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