Camminare, bere, afferrare qualcosa: come nascono i movimenti volontari? Grazie a una ‘sinfonia’ complessa che suona nel nostro cervello, degna dei migliori compositori. Un gruppo di scienziati italiani ne ha svelato lo ‘spartito’ grazie a uno studio minuzioso che ha richiesto 8 anni di lavoro e ha gettato nuova luce sui meccanismi inediti attraverso cui vengono controllate le azioni naturali.
I risultati sfidano alcune delle visioni classiche sul funzionamento del sistema motorio e aprono possibili nuove applicazioni in campi come la neuroriabilitazione e la robotica. La ricerca, che si è guadagnata le pagine della rivista ‘Science’, nasce da una collaborazione tra il Laboratorio di Neuroetologia dei primati non umani del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma, guidato da Luca Bonini, e un team dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, coordinato da Alberto Mazzoni, principal investigator del Computational Neuroengineering Lab, con il contributo del professore di Bioingegneria Silvestro Micera.
Utilizzando nuovi dispositivi telemetrici, i ricercatori hanno registrato l’attività di centinaia di neuroni delle regioni motorie del cervello di scimmie completamente libere di esprimere comportamenti spontanei, come camminare, o arrampicarsi. Si tratta, spiegano gli esperti, di un grande passo avanti rispetto agli studi precedenti. Perché finora le tecnologie disponibili avevano costretto i ricercatori a studiare cervelli ‘immobili’, durante azioni apprese e stereotipate. Il nuovo approccio invece offre la possibilità di comprendere come il cervello orchestra i movimenti spontanei in situazioni naturali. “Il nostro cervello è in continuo movimento – spiega Bonini, responsabile del progetto di ricerca – e questo nuovo approccio ha cambiato l’idea classica che specifiche regioni cerebrali, o addirittura singole cellule neuronali, controllino azioni specifiche, come mordere, bere o afferrare”.
“Secondo i nostri risultati – prosegue il ricercatore – proprio come i singoli tasti di un pianoforte possono comporre molte melodie diverse, i neuroni nelle aree motorie del nostro cervello creano complesse sinergie, consentendoci di organizzare la varietà di azioni spontanee che siamo in grado di compiere, alcune delle quali fino a oggi erano addirittura impossibili da studiare in laboratorio”. La collaborazione con i bioingegneri della Scuola Sant’Anna di Pisa ha permesso di decodificare la complessità di questa attività neurale e di prevedere le azioni spontanee che gli animali stavano per compiere utilizzando solo i segnali generati dai neuroni.
Il lavoro ha ricevuto il supporto di tre progetti finanziati dall’European Research Council (Erc) e altrettanti progetti nazionali italiani, tra cui Mnesys e Brief. “I nostri risultati – afferma Mazzoni – indicano che l’attività neuronale registrata durante il comportamento spontaneo è molto più informativa di quella ottenuta nei classici contesti di laboratorio. Queste informazioni ci permettono di comprendere come il cervello controlli la produzione di azioni volontarie in modo diverso a seconda del contesto”.
L’elevata similarità neurologica e comportamentale con l’uomo suggerisce che questo risultato potrebbe avere applicazioni cliniche rilevanti, sottolineano gli autori. Si aprono “nuove e importanti prospettive traslazionali per la neurotecnologia e la neuroriabilitazione – osserva Micera – Inoltre, questo lavoro è un’ulteriore dimostrazione dello straordinario impatto che i progetti Next Generation Eu hanno avuto sulla ricerca italiana. La nostra speranza è di proseguire queste collaborazioni grazie a nuove iniziative di finanziamento sostenute dal nostro Paese”.
“Ci auguriamo – concludono Francesca Lanzarini, Monica Maranesi, Elena Hilary Rondoni e Davide Albertini, co-primi autori del paper – che il nostro approccio possa contribuire al passaggio dalla neurofisiologia classica alla neuroetologia in molti studi sulla relazione tra cervello e comportamento, migliorando la qualità della vita degli animali anche durante gli esperimenti e, di conseguenza, la validità dei risultati della ricerca neuroscientifica sui primati non umani, che, come dimostra questo lavoro, sono ancora fondamentali e insostituibili”.