L’UNHCR chiede un rinnovato impegno per la pace, lo sviluppo ed il futuro del Sud Sudan
L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, si unisce oggi a milioni di sudanesi del Sud per celebrare i 10 anni di indipendenza. Il 9 luglio 2011 il Sud Sudan è emerso da decenni di violenze e conflitti come la nazione più giovane del mondo.
Eppure, in questi 10 anni, c’è stata più guerra che pace.
Un conflitto brutale è scoppiato nel Sud Sudan alla fine del 2013, annientando le conquiste ottenute con fatica dall’indipendenza e inaugurando un circolo vizioso di conflitti che hanno coinvolto le molte comunità e provocato una situazione umanitaria terribile.
Oltre 2,2 milioni di persone sono state costrette a fuggire nei paesi vicini della regione, principalmente in Etiopia, Sudan e Uganda. L’ultimo rapporto annuale Global Trends dell’UHNCR, pubblicato il mese scorso, ha collocato il Sud Sudan tra i primi cinque paesi di origine di rifugiati a livello globale.
Altri 1,6 milioni di persone sono sfollate all’interno del Sud Sudan ed escluse dall’istruzione, dai mezzi di sussistenza e dalle misure di protezione. Lo spostamento interno e quello dei rifugiati fanno del Sud Sudan la principale crisi di esodi forzati in Africa.
Si stima che circa 7,2 milioni di persone, o il 60 per cento della popolazione del paese, si trovino in condizione di grave insicurezza alimentare, rendendo quella del Sud Sudan una delle peggiori crisi alimentari e nutrizionali a livello globale.
Eppure, nonostante queste sfide, il Sud Sudan ha aperto le sue porte per ospitare generosamente 320.000 rifugiati provenienti principalmente dal Sudan.
Nell’ultimo decennio, la nazione è passata dalla speranza al conflitto e viceversa.
Gli sforzi per attuare il processo di pace nazionale hanno incoraggiato circa 375.000 rifugiati sud sudanesi a tornare volontariamente da novembre 2017. Anche altri 1,6 milioni di sfollati interni sono tornati a casa.
Sebbene l’UNHCR non stia promuovendo o facilitando i ritorni dei rifugiati in questo momento, fornisce assistenza a coloro che hanno scelto di tornare per aiutarli a ricominciare da capo.
Questi sono segnali chiari della convinzione della gente che il Sud Sudan può tornare alla pace e alla stabilità. Abbiamo quindi bisogno di fare di più per reimmaginare e rilanciare gli sforzi per la pace, lo sviluppo e il futuro del paese.
È necessaria un’azione urgente e strategica da parte delle agenzie umanitarie, dei partner impegnati nello sviluppo e degli attori impegnati nella costruzione della pace, per aiutare i rimpatriati e le comunità in cui si stabiliscono a vivere al riparo dai pericoli e in dignità, con maggiore sicurezza e prosperità.
Abbiamo bisogno di risorse finanziarie per sostenere gli attuali sforzi di assistenza, rispondere ai cambiamenti futuri della situazione, compreso il sostegno al ritorno sostenibile, e consolidare i risultati dello sviluppo. La nostra operazione nel Sudan meridionale ha ricevuto solo il 38% dei 224 milioni di dollari richiesti quest’anno. Abbiamo bisogno di almeno 11 milioni di dollari specificamente per rendere operative e aumentare le attività nelle zone di rimpatrio, compreso un incremento del personale, il potenziamento del monitoraggio delle frontiere e l’attuazione di progetti basati sulle comunità.
Dovrebbero essere ampliati anche gli sforzi per lo sviluppo, al fine di migliorare le attuali condizioni di vita delle persone e costruire la resilienza futura. Permettere alle persone di sostenersi ora, non solo permetterà loro di restituire alle comunità ospitanti, ma sosterrà il loro eventuale ritorno e cementerà il percorso verso la pace.
Crediamo che le aree in cui gli sfollati interni e i rifugiati stanno tornando possano rappresentare sacche di speranza, luoghi in cui le persone stanno facendo la pace e dove il denaro speso è denaro investito per il futuro del Sud Sudan.