È un piatto magro quello che presenta il Documento di Economia e Finanza del governo Meloni.
Per il 2024 ci si limita a prendere atto di una crescita modestissima valutata intorno allo 0,9 per cento, comunque superiore allo 0,7 per cento previsto dal Fondo Monetario Internazionale.
Nessuna proposta dunque per contrastare la crisi economica, l’inflazione e l’impoverimento della popolazione con la perdita del potere d’acquisto dei salari e degli stipendi.
Anzi, come vuole la BCE e l’Europa, si è preoccupati soprattutto di contenere il debito e di evitare la cosiddetta spirale prezzi salari.
Non un euro è previsto per i nuovi contratti nel settore della pubblica amministrazione che da solo avrebbe bisogno di uno stanziamento di ben 32 miliardi per recuperare quello che si è perso con l’inflazione.
Alla riduzione del cuneo fiscale andranno solo tre miliardi per i redditi medio bass, inferiori a 25 mila euro all’anno; l’effetto in busta paga sarà di soli 41 euro al mese.
La riforma delle pensioni e la flat tax sono rinviate a tempi migliori.
Con un artifizio retorico tutti gli esponenti della destra hanno imparato a dire: “intanto si fa quello che si può mentre il resto lo faremo dopo, quando si potrà”.
Vuol dire che pensano di prendere in giro gli italiani con questo ritornello anche nelle prossima campagne elettorali, continuando ad usare demagogia e populismo.
Ma nel DEF ancora più grave è il fatto che non si stanzino risorse sufficienti per la sanità e la scuola.
Si prevede invece un aumento delle spese militari di ben 1,8 miliardi, in ossequio ai desiderata della NATO e della potente lobby degli armamenti.
Potrebbe esserci una politica alternativa?
Se si avesse il coraggio di attuare una seria ridistribuzione della ricchezza potrebbero in effetti essere individuate risorse sufficienti per venire incontro ai lavoratori e investire sullo stato sociale.
Si tratta di tassare adeguatamente gli extraprofitti delle grandi aziende che hanno speculato sulla guerra e sull’inflazione.
Si tratta di effettuare una lotta senza tregua all’evasione fiscale.
Si tratta di fare una riforma del fisco veramente progressiva con l’aumento della tassazione all’aumentare del reddito e con una progressività estesa anche a redditi da capitale e finanziari.
Sul versante dello sviluppo si tratta poi di utilizzare presto e bene le ingenti risorse del PNRR che invece questo governo non riesce ad implementare.
Spetta al PD e alla sinistra il coraggio di battersi per questa politica.
Ma, come in tante storie anche in questa, c’è una beffa.
La linea politica del governo Meloni non è diversa da quella del governo Draghi.
L’ironia dei fatti ha voluto che il PD di Enrico Letta facesse la campagna elettorale sventolando una mitica agenda Draghi e la perdesse, mentre il suo avversario politico, Fratelli d’Italia, che ora concretamente sta attuando quella politica, vincesse a man bassa le elezioni sparando a palle incatenate proprio contro il governo Draghi e presentandosi come l’alternativa ad esso.
Riprendersi da politiche sbagliate e costruire un programma e una visione nuova e di sinistra non sarà facile.
La storia pesa.
In fondo c’è un argomento che Meloni usa contro il PD quando oggi, con la segreteria di Elly Schlein, questo partito intende battersi per la giustizia sociale.
“Siete stati al governo per dieci anni -dice la leader della destra – e non avete fatto nulla”.
L’argomento è serio ed efficace anche nei confronti dell’opinione pubblica ma, se Schlein insiste sulla nuova linea politica, non potrà durare in eterno.