Sono state pubblicate le prime l Linee Guida per le iniziative della missione Istruzione e Ricerca del PNRR relative alla componente Ricerca e Impresa. Le Linee Guida forniscono indicazioni per i potenziali partecipanti agli investimenti e precedono l’emanazione da parte del MUR di bandi dedicati. Il MUR, oltre agli investimenti indicati in queste Linee Guida, attiverà ulteriori iniziative di formazione, ricerca e innovazione a valere su risorse del bilancio nazionale e del Piano Complementare al PNRR. Positiva la valutazione dell’Anief ma sono da prevedere sostanziali e strutturali investimenti per l’aggiornamento delle infrastrutture degli Enti Pubblici di Ricerca.
Gli investimenti coinvolti nelle Linee Guida pubblicate riguardano:
– Partenariati allargati estesi a università, centri di ricerca, imprese e finanziamento progetti di ricerca di base
– Potenziamento strutture di ricerca
– Creazione e rafforzamento di “ecosistemi dell’innovazione”
– Realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e di innovazione
L’Anief valuta positivamente, nel complesso, le Linee Guida relative alla componente Ricerca e Impresa: molti dei contenuti rispecchiano le osservazioni e le indicazioni formulate in occasione
dei commenti al PNRR. Le linee guida fanno ovviamente riferimento alle indicazioni normative europee e pertanto si muovono all’interno di un quadro già ben definito.
Permangono alcuni elementi di criticità che risiedono principalmente nella possibilità di costituire nuovi soggetti nella forma giuridica di fondazioni. Le Fondazioni hanno già in passato mostrato i loro limiti e sono spesso risultate inefficienti e motivo di crescita improduttiva della spesa pubblica. Sarebbe da preferire il modello organizzato in strutture consortili però riteniamo che i soggetti attuatori debbano essere prevalentemente pubblici.
Il Fondo per le Infrastrutture di Ricerca e le Infrastrutture tecnologiche di Innovazione dovrebbe prevedere sostanziali e strutturali investimenti per l’aggiornamento delle infrastrutture degli Enti Pubblici di Ricerca. Tali investimenti sarebbero doppiamente produttivi mantenendo alto il livello di competitività anche successivamente all’attuazione del PNRR.
OSSERVAZIONI ANIEF AL PNRR
Gli atenei italiani sono chiamati a ripensare il proprio modello non soltanto per l’arrivo di molti miliardi ma anche per rivedere investimenti sulla ricerca e il diritto allo studio. L’Italia resta al fondo della classifica europea per laureati e l’ascensore sociale non si sblocca.
ll Recovery Plan sembra voler puntare su giovani ricercatori e tecnologie emergenti. Per l’ANIEF Università, l’Innovazione del sistema produttivo nel PNRR deve concentrare l’attenzione su quanto previsto in tema di competitività del sistema produttivo. L’analisi va condotta all’interno della missione di riferimento denominata “Competitività e Cultura, Digitalizzazione e Innovazione”, che ha al suo interno una componente dedicata a “Innovazione del sistema produttivo”, che può contare su una dotazione di molti miliardi, a sua volta articolata in diverse linee progettuali, quali:
RICERCA E SVILUPPO NEL PNRR
Per quanto riguarda università e ricerca, il PNRR assume come punto di partenza molte delle ‘false’ questioni che hanno guidato le politiche universitarie negli anni recenti, come, ad esempio, la leggenda dello skill mismatch, dell’inadeguata offerta didattica e così via. Le politiche di austerità si sono concretizzate nella riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle università che hanno dovuto ricorrere ad un aumento della tassazione studentesca per fare fronte all’ordinario funzionamento. Attualmente in Italia le tasse di iscrizione sono le più alte, dopo l’Olanda, per i paesi dell’area Euro. L’Italia si trova altresì nelle posizioni di coda tra i paesi che offrono supporto finanziario agli studenti universitari. Se aggiungiamo lo stato disastroso dell’edilizia residenziale universitaria, non è difficile spiegare perché la quota di giovani che si iscrive all’università è tra le più basse dei paesi OCSE. Il PNRR dovrebbe essere l’occasione per definire alcuni interventi che modifichino in modo radicale la direzione con cui i governi negli ultimi dieci anni hanno governato il sistema universitario e della ricerca. Ci attendono nuove sfide: il ritorno nelle aule degli studenti, la tenuta (e crescita) delle immatricolazioni e dei laureati, il ripensamento più in generale della formazione, l’investimento sulla ricerca e il diritto allo studio.
Gli atenei statali temono la concorrenza delle università online, che sarà sempre più agguerrita, e l’ingresso dei colossi del digitale nella formazione? “Il mondo digitale sta creando competitor, la formazione terziaria è già un business. Ma le università formano persone, prima ancora che distribuire competenze. E la formazione universitaria si ha nel confronto e nella presenza, è un percorso di crescita in cui i ragazzi escono dalla comfort zone delle scuole superiori”.
La pandemia dovuta al COVID 19 ha evidenziato nel nostro Paese il forte ritardo che abbiamo sull’introduzione della banda larga. In molte zone la rete internet non garantisce un’adeguata copertura e di questo ne hanno subito le conseguenze i nostri studenti, costretti a seguire corsi FAD e svolgere esami on line. Va data priorità assoluta all’utilizzo del fondo stanziato per questo progetto.
Il timore è che le famiglie impoverite dalla crisi rinuncino a dare un futuro ai figli sostenendoli negli studi universitari. “Noi dobbiamo combattere con forza questo fenomeno, occorre investire sul diritto allo studio e aumentare del 10% la spesa universitaria con un intervento non solo nel Fondo ordinario (Ffo), ma anche sulla crescita dei docenti per diminuire il rapporto con gli studenti nelle aule”.
L’Italia sforna pochi laureati, siamo sempre penultimi in Europa, davanti alla sola Romania che tuttavia nell’ultimo anno ha incrementato il numero dei suoi laureati di un punto percentuale. Nel Rapporto Alma Laurea su 291mila laureati del 2020 emerge che nel 26% dei casi sono giovani del Sud che sono andati a studiare al Nord. Aumenta la quota di chi ha almeno un genitore laureato (dal 26,5 al 30,7%) e di chi conclude gli studi in corso (58%). Ma le disuguaglianze riguardano ancora le condizioni socio-culturali delle famiglie di provenienza, l’ascensore sociale non si sblocca. Se la crisi sanitaria non ha compromesso la formazione degli studenti universitari, ha avuto un effetto diretto sull’occupazione: a un anno dal titolo il tasso di occupazione è pari al 69% (-4,9%) tra i laureati di primo livello e al 68% (-3,6%) tra quelli di secondo livello. A pagare il prezzo più alto sono quindi i giovani neolaureati, e la situazione peggiora per le donne (gli uomini hanno il 17,8% di probabilità in più di essere occupati a un anno dalla laurea) e per chi è del Sud (al Nord +30,8% di probabilità di essere occupati a un anno dal titolo). Sui laureati a cinque anni gli effetti della pandemia sono stati, nel 2020, decisamente più contenuti rispetto ai neolaureati: il tasso di occupazione è pari all’88,1% per i laureati triennali e all’87,7% per i laureati magistrali.
Punti su cui riflettere: ridurre le tasse universitarie ai livelli dei paesi europei come Germania e Francia, con un aumento del FFO che garantisca l’ordinario funzionamento degli atenei. La realizzazione di questo intervento dovrebbe avvenire di concerto ad una revisione complessiva delle modalità di finanziamento delle università; l’annullamento della (falsa) premialità sui risultati della ricerca che ha indotto comportamenti strategici ed opportunistici a scapito della qualità stessa della ricerca e che ha introdotto una competizione dannosa tra sedi universitarie e ricercatori; la riduzione del carico e del controllo burocratico sulle attività delle università da attuarsi in particolare attraverso l’abolizione dell’ANVUR. Il sistema universitario dovrebbe altresì tornare a usare per didattica e ricerca le ingenti risorse (personale docente e tecnico-amministrativo) adesso impiegate per rispondere alle richieste dalla burocrazia valutativa: la revisione del finanziamento dei progetti di ricerca di base (bando PRIN) attraverso la differenziazione di diverse categorie di ammontare di finanziamento (progetti piccoli, medi, grandi); rivedere il sistema dell’Abilitazione Scientifica Nazionale che sta determinando distorsioni nel sistema della ricerca italiano, che rischiano di diventare irreversibili, a seguito dell’introduzione di soglie quantitative sulla produzione stabilite da ANVUR.
9 ottobre 2021 Ufficio Stampa Anief